Scaffale
diRedazione pubblicato il 28 Novembre 2024 Nessun commento
Di Paola Ducci*
ALGERI (nostro servizio particolare)..Nel corso dei sei decenni trascorsi dalla Guerra d’Indipendenza algerina (1954-62) i cineasti hanno reagito alla storia di questo periodo rivoluzionario con risposte potenti e prospettive perspicaci.
Diversi film di questa serie tematica fanno luce sulla lotta per l’indipendenza prima della guerra, ma il nostro La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, uscito nel 1966, è ancora oggi un’opera fondamentale, studiata per la sua penetrante rappresentazione del terrorismo.
La locandina del film
Qui non viene demonizzata la Francia coloniale ma vengono mostrate le violenze e le torture di cui l’Esercito ha fatto uso.
Inoltre la rappresentazione del conflitto è sostanzialmente oggettiva tuttavia la chiave di lettura è in linea con la politica del FLN.
Il film è un tassello importante nel processo di miticizzazione della guerra e dei suoi martiri: prima e dopo il 1962 le azioni di opposizione al regime coloniale vengono esaltate nel nome dell’ideale di indipendenza e lo slogan “un solo eroe, il popolo” è ripetuto e scritto sui muri.
Tutti sono inseriti in questo racconto della guerra, tutti sono eroi, tutti saranno liberi e potranno scendere in piazza con bandiere e striscioni per festeggiare l’indipendenza.
Tutti tranne alcuni, però, ovvero gli oppositori politici del FLN, i berberi e le donne.
Il cinema dell’indipendenza dimentica, a volte, di raccontare con uno sguardo obiettivo la realtà post-coloniale perché preferisce contribuire alla trasmissione di un’identità e di un immaginario nazionali apparentemente unitari, ma sempre più parziali.
Bisogna aspettare il 1977 per vedere il primo film a regia femminile: La Nouba des femmes du Mont Chenoua di Assia Djebar, scrittrice algerina, ascolta le voci di generazioni di donne silenziate o ignorate dalla storia e dalla memoria ufficiali. “L’indipendenza, l’alba, era ieri”, ma la liberazione dalla Francia non ha coinciso con la liberazione dal patriarcato: il ruolo avuto dalle donne durante la guerra viene dimenticato o ridimensionato, le prospettive di uguaglianza ed emancipazione vengono strumentalizzate prima e poi taciute.
Un’immagine del film La Nouba des femmes du Mont Chenoua di Assia Djebar
Le donne della Nouba, allora, parlano, raccontano la loro storia, trasmettono le loro memorie alle figlie e alle nipoti.
Non svolgono silenziosamente un compito come le donne de La battaglia di Algeri, non vedono la loro esigenza drammatica ed esistenziale esaurirsi nel ruolo di mogli e madri come la protagonista di Le Vent des Aurès.
La rivoluzione delle donne della Nouba è rivendicare un tempo e uno spazio per preservare la memoria, per raccontare le loro storie dentro la Storia.
All’inizio degli anni ’90, quando sono emersi rapporti investigativi sul massacro di algerini perpetrato dalla polizia il 17 ottobre 1961 nelle strade di Parigi, il film Drowning by Bullets dei registi Philip Brooks e Alan Hayling ha contribuito a denunciare queste atrocità e il trattamento drammatico di Alain Tasma di questo evento, 17 ottobre 1961, rimane di grande attualità.
Algeria, anno zero di Marceline Loridan-Ivens e Jean-Pierre Sergent è uno dei tanti film realizzati in Algeria subito dopo l’indipendenza. Il trauma della guerra e le sue conseguenze sono presentati magistralmente in The Undeclared Wardi Bertrand Tavernier, un’opera essenziale di storia orale che documenta le esperienze dei coscritti francesi.
In Mansourah, You Separated Us di Dorothée-Myriam Kellou offre testimonianze di prima mano, tra cui il racconto di suo padre sulle esperienze vissute da bambino in un campo di reinsediamento.
L’eccezionale thriller di Michael Haneke, Caché, è un’espressione incisiva degli effetti duraturi del trauma; il film riflette sulle profonde ferite che hanno lacerato il cuore di una generazione di cittadini algerini e francesi.
*Editor per l’Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Difesa
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